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Alessio Fossi: INDIANI TOSCANI

INDIANI TOSCANI (ottave di risveglio e di rivolta)
del poeta Alessio Fossi, dicembre 2023

Dedicate a CRINALILIBERI (Comitato per la tutela del crinale Mugellano) e all’associazione LA LEGGERA

 

Dalla notte dei tempi, sopra i monti

c’è sempre stato chi ci vòle stare

son posti sacri, guarda che tramonti

qui vibra il suono che ti fa danzare

Nelle pianure non c’è più i bisonti

e qui si pòle ancora pascolare

nelle pianure l’è quasi finita

ma qui si gioca ancora la partita!

 

Questa battaglia l’è la più agguerrita

se vai vicino ai parchi nazionali

io non capisco come gli è sòrtita

di costrui’ le pale in su i crinali

Li cacceremo fin che avremo vita

e li faremo arrosto ‘sti maiali

gente mafiosa, vili e ciarlatani

sulle montagne c’enno i partigiani!

 

Nostri ragionamenti sono sani

noi ci appelliamo anche ai nostri avi

dal Falterona al Piano degli Ontani

le fate e gli elfi qui ci hanno le chiavi

Ed anche loro meneran’ le mani

per le sorgenti lottano i più savi

gli indiani di Toscana son tornati

sul Giogo di Corella siam schierati!

Sebastiano Vassalli

Da “Un infinito numero. Virgilio e Mecenate nel paese dei Rasna” di Sebastiano Vassalli, Einaudi 1999:

“La prima epoca della storia dell’uomo, – continuò a raccontare l’omiciattolo, – è l’età di Mantus. Quell’epoca è durata dieci secoli, e ha segnato il passaggio di tutte le cose esistenti, dalla felicità delle origini all’infelicità che preannuncia la morte. Ma le epoche del mondo sono cinque: e il mio primo predecessore spiegò a Tarchon ce mentre Mantus dava i nomi alle cose, la sua ombra Mania aveva continuato a riflettere, tracciando certi segni nel cielo ce poi subito cancellava. Quando il dio del nulla ebbe finito di compiere la sua opera, Mania gli indicò una roccia, gli chiese: come si chiama quella roccia? Quella, rispose Mantus, è il granito. Allora l’ombra, che aveva inventato la scrittura, scrisse sul granito una parola di sette lettere: granito, e la morte entrò nel granito, che si sgretolò fino a diventare ghiaia e polvere. Poi l’ombra scrisse, una dopo l’altra, tutte le parole. Scrisse accanto alle pietre i nomi delle pietre, accanto agli alberi i nomi degli alberi e accanto agli animali i nomi degli animali: e il mondo si riempì di parole scritte, cioè di involucri vuoti e affamati di vita”.

“Fu allora, – disse Aisna, – che la morte si impadronì di tutti gli esseri esistenti; e anche gli uomini se ne resero conto quando Mania incominciò a scrivere i loro nomi nel cielo notturno. Incominciarono a morire e a morire, e il buio della notte si riempì di piccolissime luci, dette stelle, che erano quanto rimaneva di ciascuno di loro. Nacquero altri uomini che si chiamarono con nomi nuovi e diversi, o anche con gli stessi nomi che erano appartenuti ai defunti; ma Mania scriveva e scriveva nel cielo pieno di stelle, e gli uomini continuavano a morire”.

L’uomo-scimmia fece una pausa per riprendere fiato. Soltanto allora mi accorsi che il giorno era arrivato alla fine: il sole era scomparso dietro la collina, e dal torrente veniva su una specie di nebbia, che faceva rabbrividire i nostri cavalli. “La seconda epoca del mondo, – disse Aisna, – è stata l’epoca di Mania, ed è durata circa mille anni come la precedente. La terza epoca è quella dei Rasna, che il primo sacerdote di Velthune annunciò al contadino Tarchon e che è finita stasera, quando Tinia (il Sole) è sceso dietro l’orizzonte. L’età della ragione e della gioia di vivere. Nessun popolo, in futuro, riuscirà a tenere a bada l’infelicità e perfino la morte come abbiamo fatto noi! Noi Rasna abbiamo costretto anche la scrittura a servire alle necessità della vita, così come abbiamo costretto i veleni a guarire le nostre malattie. Tutto ciò che sappiamo ce l’ha rivelato Velthune. Alcuni dei nostri Libri Sacri ci insegnano a leggere il futuro nei tuoni, nei fulmini, nelle viscere degli animali, nel volo degli uccelli e nello stormire delle fronde mosse dal vento. Altri Libri ci aiutano a capire i prodigi, a misurare il tempo, a fondare le città; a curare gli infermi e a comunicare con i morti. I Romani, che oggi dominano il mondo, hanno voluto trascrivere i nostri Libri Sacri nella loro lingua, per prevedere il futuro con le nostre arti divinatorie e per guarire le malattie con le nostre scienze della natura. Ma i Libri Sacri, in latino, sono morti. La scienza dei Rasna è morta”.

Byung-Chul Han

Da “L’espulsione dell’Altro” di Byung-Chul Han, saggi|figure Nottetempo, Cles (TN) 2021:

La rumorosa società della stanchezza è sorda. La società a venire potrebbe invece chiamarsi una società dell’ascolto e dell’attenzione. Oggi è necessaria una rivoluzione del tempo che dia inizio a un tipo di tempo completamente diverso. Si tratta di scoprire di nuovo il tempo dell’Altro. L’attuale crisi del tempo non riguarda l’accelerazione, bensì la totalizzazione del tempo del Sé. Il tempo dell’Altro si sottrae alla logica di incremento della prestazione e dell’efficienza, che genera una spinta all’accelerazione. La politica neoliberista del tempo elimina il tempo dell’Altro, considerato un tempo improduttivo. La totalizzazione del tempo del Sé si accompagna alla totalizzazione della produzione, che travolge oggi ogni ambito della vita e conduce allo sfruttamento totale dell’uomo. La politica neoliberistica del tempo elimina anche il tempo della festa, il tempo della celebrazione, che sfugge alla logica della produzione. Il tempo festivo riguarda infatti l’improduttività. All’opposto del tempo del Sé, che ci rende soli e isola, il tempo dell’Altro istituisce una comunità. Questo tempo, perciò, è un buon tempo.

Antonella Tarpino

Da “Il paesaggio fragile. L’Italia vista dai margini” di Antonella Tarpino, Passaggi Einaudi, Cles (TN) 2016:

Ripenso alle parole di un grande medievista (Aron Gurevič), quando parlando dell’antica intelligenza del mondo osservava quanto il confine fra l’uomo e il mondo circostante fosse fluido e indefinito. E lo spazio fosse proiezione dell’umano oltre il perimetro di se stesso […]. Parte organica del mondo, l’uomo era difficilmente in grado di osservare dall’esterno lo spazio fisico tutto intorno. Come del resto mostrano le immagini del microcosmo, replica ridotta dell’universo in cui organismo umano e mondo naturale si compenetrano: e dove l’uomo figura spesso come un albero capovolto (“arbor inversa”) che cresce dal cielo in terra. Tanto che proprio di questa relazione indifferenziata degli uomini con la terra è espressione la figura del corpo grottesco rappresentata nelle forme iperboliche dell’arte figurativa e della letteratura medievali: uomini-bestie, alberi con teste umane, monti antropomorfi che raggiungono il loro apogeo, come sappiamo, nelle raffigurazioni fantastiche di Bosch e Brueghel.

Metro del suo paesaggio, l’uomo nelle società premoderne si confrontava con il mondo e lo misurava trovando la misura in se stesso: il braccio, il palmo, il pollice. Solo in rare occasioni […] mi è capitato di percepire segni anche se fuggevoli di quanto questa cesura sensoriale sia stata radicale e irreversibile al di là di inutili nostalgie o di presunte superiorità. Che cosa abbiamo perduto? (O guadagnato, mi interessa il salto in sé…) si era chiesto Paul Zumthor, il critico e filologo, negli anni Novanta. Abbiamo smarrito – si era risposto – proprio la capacità di vivere lo spazio come <<estensione>> della nostra coscienza corporea: è il corpo, infatti, il nostro luogo originario, microcosmo spazio-temporale eletto a modello del mondo e capace insieme di rifletterlo. E anche di misurarlo (anche attraverso il cubito e il passo). È attorno e in relazione al corpo che l’estensione si organizza opponendo Dentro e Fuori, Pieno e Vuoto, Qui e Altrove…

Ma il corpo proietta nello spazio anche l’anima e con essa le misure morali del suo mondo – ricordo ancora da Zumthor – come l’alto e il basso. È proprio a questa calorosa complicità con la Terra (in cui lo spazio è per così dire <<provato>> nel corpo) che abbiamo da tempo rinunciato. Fino a stentare quasi di poter immaginare […] un mondo in cui lo spazio non è concepito come un mezzo neutro ma <<come una forza che regola la vita, l’abbraccia, la determina…>>

Ecco che per questa via il paesaggio diviene un corpo vivente con il quale quello dell’uomo è capace di esprimere amicizia: è oggetto di conoscenza e questa in cambio partecipa alla sua definizione. E della dimensione umana riflette tutta la precarietà, la fragilità intrinseca […].

Wislawa Szymborska

Da “Attimo” di Wislawa Szymborska, a cura di Pietro Marchesani, Libri Scheiwiller Milano 2007:

Il ballo

Finché non si sa ancora nulla di certo,
non essendo arrivati segnali,

finché la Terra continua a essere diversa
dai pianeti più vicini e più lontani,

finché non c’è neanche l’ombra
di altre erbe onorate dal vento,
di altri alberi incoronati,
di altri animali dimostrati come i nostri,

finché non c’è eco, tranne quella del posto,
capace di parlare con le sillabe,

finché non si hanno nuove
di mozart migliori o peggiori,
di edison o platoni in qualche luogo,

finché i nostri crimini
possono rivaleggiare soltanto fra loro,

finché la nostra bontà
non è ancora simile per adesso a nessun’altra,
eccezionale perfino nell’imperfezione,

finché le nostre teste piene di illusioni
passano per le uniche teste piene di illusioni,

finché solo dalle nostre volte palatine
si levano grida agli alti cieli –

sentiamoci ospiti speciali e distinti
nella balera del posto,
balliamo al ritmo dell’orchestrina locale
e ci sembri pure
che sia il ballo dei balli.

Non so gli altri –
per essere felice o infelice
a me basta e avanza questo:

una dimessa provincia
dove anche le stelle sonnecchiano
e ammiccano nella sua direzione
non significativamente.

Ettore Sottsass

Da “Foto dal finestrino” di Ettore Sottsass, vol. 38 di Biblioteca minima, Adelphi 2010:

Ci sono state e ci sono culture per le quali l’attività che oggi chiamiamo “arte” non produceva e non produce necessariamente gallerie, negozi, aste pubbliche; cioè mercato generale. Sono esistite ed esistono ancora culture, anche molto sofisticate, nelle quali scolpire sculture o dipingere storie non aveva e non ha come tappa finale il mercato, culture nelle quali una scultura o una pittura non finisce per diventare un “prodotto” ma si accontenta di segnalare storie segrete o memorie o visioni misteriose o anche pensieri speciali che non sarebbero mai apparsi in nessun momento, in nessun luogo del pianeta; se è vero che l’arte è stata inventata per accompagnare la gente nelle illusioni della vita.

Khuri, deserto del Tar